La Madonna Sistina di Raffaello. La straordinaria lettura di V. Grossman

Dopo aver battuto e annientato l’esercito della Germania nazista, le vittoriose truppe
sovietiche portarono a Mosca tele della pinacoteca di Dresda. Queste tele sono state
conservate sotto chiave per quasi dieci anni. Adesso, nella primavera del 1955, il governo sovietico ha deciso di riconsegnarle a Dresda.madonna sistina

Raffaello Sanzio, Madonna Sistina, 1513-14. Olio su tela, Gemäldegalerie, Dresda

Prima di rispedirle in Germania, è stato deciso di mostrare le tele al pubblico per novanta giorni. E così nella fredda mattina del 30 maggio 1955, attraverso via Volchonka, supero i cordoni con cui la milizia moscovita convoglia le migliaia di persone che vogliono vedere i quadri dei grandi maestri, entro al museo  Puškin, salgo al primo piano e mi avvicino alla Madonna Sistina.Fin dal primo sguardo una cosa si impone, immediatamente evidente: quella tela è
immortale. Capisco che prima d’ora ho usato con leggerezza una parola dal potere tremendo, “immortalità”, confondendola con la possente vitalità di alcune sublimi opere umane.
Nonostante la mia venerazione per Rembrandt, Beethoven e Tolstoj, mi è chiaro che fra tutte le opere capaci di colpire il mio cuore e il mio spirito, creazioni di pennello, cesello o di penna, solo questo quadro di Raffaello non morirà, finché l’uomo avrà vita. E se anche l’uomo dovesse scomparire, le altre creature che prenderanno il suo posto sulla terra, lupi, ratti, orsi o rondini, giungeranno camminando o volando a vedere la Madonna di Raffaello.
Dodici generazioni di esseri umani l’hanno ammirata, un quinto dell’umanità passata sulla faccia della terra dall’inizio dell’evo moderno fino ai giorni nostri. È stata guardata da vecchi in miseria, imperatori d’Europa, studenti, miliardari venuti da oltre oceano, da papi e principi russi, è stata ammirata da vergini purissime e da prostitute, da colonnelli di Stato Maggiore, da ladri, geni, tessitori, da piloti di caccia e maestri di scuola, è stata vista dai buoni e dai cattivi. Da quando questo quadro esiste, sono stati fondati e sono crollati imperi europei e coloniali, è nato il popolo americano, le fabbriche di Pittsburgh e di Detroit, ci sono state rivoluzioni e l’assetto sociale del mondo è stato trasformato…
Da quando questo quadro esiste, l’umanità ha lasciato alle sue spalle le superstizioni degli alchimisti, i telai a mano, le navi a vela e le carrozze postali, i moschetti e le alabarde ed è entrata nel secolo dei generatori, dei motori elettrici e delle turbine, nell’era dei reattori atomici e delle reazioni termonucleari.
Da quando questo quadro esiste, Galileo ha formulato il concetto di Universo ed ha scritto il suo Dialogo, Newton ha scritto i Principia ed Einstein L’elettrodinamica dei corpi in movimento. Da quando questo quadro esiste, Rembrandt, Goethe, Beethoven, Dostoevskij e Tolstoj hanno reso più profonda la nostra anima e più bella la vita.
Vedo una giovane madre che tiene un bambino in braccio. Come posso rendere la
grazia di un melo, esile e delicato, che abbia appena generato la sua prima mela, piena e bianca; la grazia di una madre uccello coi suoi primi pulcini, o di una cerbiatta appena
diventata madre… La maternità e la fragilità di una ragazza, poco più che bambina.
Una simile grazia, dopo la Madonna Sistina, non si può più dire che sia ineffabile o misteriosa. Con la sua Madonna, Raffaello, ha svelato lo splendido arcano della maternità. Ma non da questo dipende l’inesauribile vita del suo quadro ma dal fatto che il corpo e il volto della ragazza sono la sua anima. Per questo che la Madonna è così bella. C’è in questa rappresentazione visiva dell’anima di una madre qualcosa che la mente umana non riesce a cogliere.
Sappiamo che nelle reazioni termonucleari la materia si trasforma in una quantità enorme di energia ma non sappiamo ancora figurarci il processo inverso, cioè come l’energia si trasformi in materia; qui sulla tela, invece, la forza dello spirito, la maternità, si cristallizzano nella forma della soave Madonna.
La sua bellezza è strettamente connessa alla vita di questa terra. È democratica, umana;
è la bellezza di moltissimi esseri umani – quelli dalla pelle gialla e gli occhi a mandorla, i gobbi dal lungo e pallido naso, i neri con i capelli ricci e le grosse labbra –, è universale.
La Madonna è anima e specchio dell’uomo, e coloro che la guardano vedono in lei l’umano: è l’immagine del cuore materno, ed è per questo che la sua bellezza è intrecciata indissolubilmente con la bellezza che si cela, profonda e indistruttibile, ovunque nasca e cresca la vita, nelle cantine, nei granai, nei palazzi e nei bassifondi.
Io penso che questa Madonna sia l’espressione più atea della vita, dell’umano a cui il divino non partecipa. Penso inoltre che esprima non solo l’umano, ma anche qualcosa di
inerente alla vita terrestre in senso più esteso, come nel mondo animale laddove negli occhi scuri della giumenta, della mucca o della cagna che allattano i loro piccoli si può sentire e cogliere l’ombra prodigiosa della Madonna.
E più terreno ancora è il bambino che tiene in braccio. Il suo viso è più adulto di quello di sua madre. Gli occhi tristi e gravi, al contempo fissi fuori e dentro di sé, vedono e già conoscono il destino. I loro volti sono tranquilli e accorati. Forse vedono il Golgota, la via polverosa e sassosa che vi conduce, e la croce, mostruosa, tozza, pesante e scabra, destinata ad appoggiarsi sopra la piccola spalla che ora sente soltanto il calore del seno materno…madonna sistina part
Ed ecco che il cuore si serra, non per l’angoscia e non per dolore. È un sentimento nuovo, mai provato prima, umano eppure nuovo, che, come se emergesse dalle salate e amare profondità oceaniche, è talmente insolito da farci battere il cuore per la sua straordinaria novità. È anche questa una caratteristica unica di questa tela. Essa suscita qualcosa di nuovo, come se ai sette colori dello spettro se ne aggiungesse un ottavo ancora sconosciuto alla vista.
Perché il volto della madre non tradisce paura, perché le sue dita non stringono il piccolo con la forza che neppure la morte riuscirebbe ad aprire; perché non vuole sottrarlo al suo destino?
Ella offre suo figlio alla sorte, non cerca di nasconderlo. E il bambino non nasconde la faccia nel seno della madre. Anzi, è sul punto di strapparsi alla sua stretta per andare scalzo incontro al suo destino.
Come spiegare ciò? Come comprenderlo?
Sono un’unica cosa, e sono distinti. Vedono, sentono e pensano insieme, si fondono l’uno nell’altra, ma tutto ci dice che si separeranno, che l’essenza della loro unione, della loro fusione sta nella separazione inevitabile.
Succede che in certi momenti difficili siano proprio i bambini a sorprendere gli adulti con il loro buon senso, la loro tranquillità, la loro arrendevolezza.
Come i figli dei contadini falcidiati dalle carestie e da annate di vacche magre; o i figli di negozianti e di artigiani ebrei durante i pogrom di Kišinëv; o i figli di minatori, quando l’urlo della sirena annunciava al borgo impazzito un’esplosione nelle gallerie.
Ciò che nell’uomo vi è di umano, va incontro alla propria sorte che in ogni epoca è particolare e diversa da quella dell’epoca precedente. Ciò che accomuna questi diversi destini è il fatto di essere tutti immancabilmente difficili…
Ciò che nell’uomo vi è di umano, ha continuato ad esistere su tutte le croci su cui è stato inchiodato e in tutte le prigioni in cui è stato torturato. Ha continuato a vivere nelle cave di pietra, ai cinquanta gradi sottozero nei boschi da tagliare nella tajga,nelle trincee allagate vicino a Przemyśl e Verdun. Ha continuato a vivere nell’esistenza monotona degli impiegati, nella miseria delle lavandaie e delle donne di servizio, nella vana lotta estenuante contro il bisogno, nella fatica senza gioia delle operaie in fabbrica.
La Madonna con suo figlio, è ciò che di umano resiste nell’uomo, e sta in questo la
sua immortalità.
Guardando la Madonna Sistina, la nostra epoca prende coscienza del proprio destino.
Ogni epoca ha guardato questa donna con suo figlio in braccio, e fra uomini di generazioni, popoli, razze e tempi diversi, si instaura una tenera fraternità, commovente e dolorosa. L’uomo prende coscienza di se stesso, della sua croce, e comprende
improvvisamente il meraviglioso legame che unisce tutte le epoche, il legame fra ciò che vive ora, ciò che ha vissuto e ciò che vivrà.

2
Più tardi, mentre camminavo per la strada stupefatto e turbato dalla potenza di questa emozione inattesa, non feci neppure il tentativo di dipanare quella matassa di pensieri e sensazioni. Non potevo paragonare i miei sentimenti né ai giorni di lacrime e gioia che avevo conosciuto, quindicenne, leggendo Guerra e pace, né a ciò che avevo provato nei momenti più bui e difficili della mia vita ascoltando la musica di Beethoven.
Poi capii. La visione della giovane madre con il bambino in braccio non evocava in me un libro o una musica…
Treblinka…
“Questi pini, la sabbia e questi vecchi tronchi, in lontananza, sono stati guardati da milioni di occhi umani dai vagoni che scivolavano lentamente verso la banchina… Entriamo nel lager, calpestiamo la terra di Treblinka…. I baccelli di lupino scoppiano al minimo contatto con un suono lieve…Il suono dei baccelli che scoppiano e dei semi che cadono si fondono in una melodia triste e silenziosa. Ed è come se dalle viscere della terra giungessero i rintocchi di minuscole campane che suonano a morto: appenna udibili, tristi, distesi, quieti…
Ecco camicie bruciacchiate…scarpe…ingranaggi di orologi, temperini…candelabri, scarpe da bambino con i pompon rossi, sottovesti di pizzo, forbici…cocci, bidoni…tazzine di plastica per bambini… lettere scarabocchiate da mani infantili, un libro di poesie…Continuiamo ad avanzare su questa terra senza fondo, ma poi ci arrestiamo. Di colpo. Capelli biondi di ragazza dai riflessi di rame, ondulati, fini, leggeri, incantevoli, si mescolano alla terra calpestata. Poco distante altri riccioli chiari, e più oltre, sulla sabbia chiara, folte trecce nere, e poi ancora, e ancora…E i baccelli di lupino intanto tintinnano, tintinnano e i semi tamburellano sul terreno come se veramente, dalle profondità della terra si levassero alti i rintocchi funebri d’innumerevoli minuscole campane. E il cuore sembra fermarsi, stretto da una tristezza, da un dolore, da un’angoscia che un essere umano non può sopportare…”[*]
Il ricordo di Treblinka era riemerso nel cuore senza che mi rendessi conto…
Era lei che calcava coi suoi piedi nudi e leggeri la terra fremente di Treblinka, percorreva il tragitto da dove il convoglio veniva scaricato fino alla camera a gas. La riconosco dall’espressione del volto e degli occhi. Vedo suo figlio e riconosco anche lui per l’espressione strana, senza niente di infantile. Era questa l’espressione delle madri e dei bambini quando sul fondo verde scuro dei pini scorgevano il muro bianco delle camere a gas di Treblinka, così erano le loro anime. Quante volte ho cercato di distinguere nel buio questa gente che scendeva dal treno; i profili di quelle figure, tuttavia erano sempre vaghi, o erano i volti che parevano sfigurati da un orrore infinito, e tutto
veniva coperto da un terribile gridare, o era la prostrazione fisica e morale, la disperazione a coprire quei visi con un velo di indifferenza ottusa e cocciuta, oppure era un sorriso ebete di follia a stamparsi sui volti di chi, sceso dal treno, si avviava verso la camera a gas.
Finalmente ora io potevo vedere la verità di quei volti, Raffaello l’aveva dipinta quattro secoli prima. È in questo modo che l’uomo va incontro al suo destino.
La cappella Sistina, le camere a gas di Treblinka…Ha partorito oggi il suo bambino quella giovane madre. È terribile portare un figlio in grembo e sentire il boato di un popolo che acclama Adolf Hitler. La madre guarda il volto di suo figlio appena nato e intanto sente lo schianto di vetri infranti, le sirene ululanti delle auto e il branco di lupi che canta la marcia di Horst Wessel nelle vie di Berlino. Ed anche il colpo sordo della scure nel carcere di Moabit. La madre allatta il suo bambino al seno mentre centinaia di migliaia di esseri umani costruiscono muri, tendono filo spinato, erigono baracche… In uffici silenziosi si progettano le camere a gas, i veicoli della morte, i forni crematori…
È giunto il tempo dei lupi, il tempo del nazismo. In questo tempo gli uomini vivono come
lupi, e i lupi vivono come fossero uomini. In questo tempo una giovane madre mette al mondo e cresce il suo bambino. E Hitler, il pittore, si piazza di fronte a lei nella pinacoteca di Dresda per decidere del suo destino. Ma il padrone d’Europa non può sostenere il suo sguardo, non può sostenere lo sguardo del figlio, perché quelli sono sguardi di esseri umani. La loro forza umanissima trionfa sulla di lui violenza.
La Madonna entra coi suoi piedi nudi e leggeri nella la camera a gas tenendo suo figlio in braccio sulla terra tremante di Treblinka. Il nazismo tedesco è stato abbattuto, la guerra ha mietuto decine di milioni di persone, città enormi sono state ridotte in cumuli di macerie.
Nella primavera del 1945, la Madonna ha visto il cielo del nord. È venuta da noi non da ospite, e non come una viaggiatrice, poiché era accompagnata da soldati e da autisti, su strade distrutte dalla guerra; lei fa parte della nostra vita, è una nostra contemporanea.
Sa tutto di noi, conosce la nostra neve, la fanghiglia fredda dell’autunno, la gavetta
ammaccata dei soldati con dentro la brodaglia scura, e la cipolla ammuffita che accompagna la crosta di pane nero. Ha camminato con noi, ha viaggiato con noi per un mese e mezzo su di un treno cigolante, cercando e togliendo i pidocchi dai capelli soffici e sporchi del suo bambino. Ha vissuto con noi la collettivizzazione forzata.
Eccola avanzare a piedi nudi con il suo bambino verso il vagone dove sarà caricata. L’aspetta un lungo viaggio, da Obojan’, dai dintorni di Kursk, dalle terre fertili di Voronež fino alla tajga, verso le paludi boscose oltre gli Urali, verso le sabbie del Kazakistan.
Dov’è tuo padre, piccolino? È morto in qualche cratere scavato da una bomba, in qualche lager della taiga? in quale baracca di dissenterici? Ivan, mio piccolo Ivan, perché sei così triste? Dietro te e tua madre il destino ha inchiodato le finestre della tua izba ormai deserta. È lungo il viaggio che vi attende? Riuscirete ad arrivare? Oppure, sfiniti, morirete in qualche luogo ai bordi di una strada, in una stazione ferroviaria a scartamento ridotto, nella foresta o sulla riva paludosa di un piccolo fiume al di là degli Urali?
Certo, è proprio lei. L’ho vista anche nel 1930 alla stazione di Konotop, si era avvicinata al vagone di un rapido, terrea per le sofferenze, e, alzando i suoi occhi meravigliosi, senza parlare e muovendo appena le labbra aveva detto: “Pane…”
Ho visto suo figlio, ormai trentenne, con un paio di scarponi militari consumati, di quelli
che si lasciano ai piedi dei morti tanto sono inutilizzabili, vestito di un giubbotto strappato che lasciava vedere la sua spalla bianca come il latte. Marciava su un sentiero tra le paludi, avvolto da un nugolo di zanzare che non riusciva a scacciare, nimbo vivo e scintillante di miliardi di insetti, perché le sue mani dovevano reggere sulla sua schiena un tronco grezzo e pesante. Ha sollevato la testa china e ho visto il suo volto, la barba riccia e chiara uniforme da un orecchio all’altro, le labbra socchiuse. Ho visto i suoi occhi e subito li ho riconosciuti: erano quelli gli occhi che mi guardavano dalla tela di Raffaello.
L’abbiamo di nuovo incontrata nel 1937: era lei che in piedi nella sua stanza stringeva fra le braccia suo figlio per l’ultima volta. Gli diceva addio e pareva divorargli il volto con gli occhi prima di correre giù per le scale deserte del palazzo ammutolito… Sulla porta della sua stanza un sigillo di ceralacca, una macchina l’attendeva di sotto. .. Che silenzio strano, sgomento in quell’alba grigia e polverosa dove pure i palazzi erano muti.
Ed ecco che dalla penombra di quell’alba affiora il suo nuovo presente: il convoglio, la prigione di transito, le guardie sulle torrette di legno dei lager, il filo spinato, il lavoro notturno nelle officine del campo, l’acqua bollita e tavolacci per branda, tavolacci, tavolacci…
Con passo lento ed elastico, calzando stivaletti di capretto dal tacco basso, Stalin si è
avvicinato al quadro e ha lungamente osservato, molto a lungo, i volti della madre e del figlio, accarezzandosi i baffi grigi. L’avrà forse riconosciuta? L’avrà incontrata anche lui durante la sua deportazione nella Siberia orientale, a Novoudinsk, a Turuchansk e sul fiume Kurejka, sui treni, nelle prigioni di transito… Avrà mai pensato a lei quando ha conquistato il potere?
Ma noi uomini, noi l’abbiamo riconosciuta, abbiamo riconosciuto suo figlio, perché lei siamo noi, il loro destino siamo noi, loro, madre e figlio, sono l’umano nell’uomo. E se in futuro la Madonna sarà condotta in Cina o in Sudan, ovunque la riconosceranno, come l’abbiamo riconosciuta noi oggi.
La forza miracolosa e serena di questa tela sta anche nel fatto che ci parla della gioia di
essere creature vive su questa terra.
Il mondo intero, tutta l’immensità dell’universo, non è altro che materia inanimata in schiavitù, solo la vita è miracolo di libertà. La tela ci dice quanto la vita sia preziosa e bella, e che non c’è forza al mondo capace di costringerla a trasformarsi in qualcosa che, pur somigliandole, non sia vita vera.
La forza della vita, la forza dell’umano nell’uomo è una forza immensa, e non può essere soggiogata neppure dalla violenza più estrema e più assoluta. Può solamente ucciderla. Per questo il volto della madre e del figlio sono tanto sereni: sono invincibili. In questi tempi di ferro, la vita, anche se muore, non è comunque sconfitta.
Ed eccoci davanti a lei, noi, giovani e vecchi che viviamo in Russia. In un’epoca di angoscia…Le ferite non sono ancora rimarginate, fumano ancora i falò e fremono i tumuli sulle fosse comuni di milioni di soldati, figli e fratelli nostri. I pioppi e i ciliegi morti e bruciati si drizzano ancora nelle campagne arse vive, tristi erbacce crescono nei villaggi partigiani, sui corpi inceneriti dei vecchi, delle madri, dei ragazzi e delle ragazze. La terra si scuote e freme ancora nei fossati dove riposano i corpi dei bambini ebrei uccisi con le loro madri. Ancora risuona la notte il pianto delle vedove nelle innumerevoli izbe russe, nei casolari bielorussi e ucraini. La Madonna ha patito tutto questo con noi, perché lei siamo noi, noi siamo suo figlio.
Terrore, vergogna, dolore: perché la vita è stata tanto orribile? Non sarà anche per colpa
mia o per colpa nostra? Perché noi siamo rimasti in vita? Che domande terribili, dure, che solo i morti possono porre ai vivi. Ma i morti tacciono e non fanno domande.
A volte, il silenzio del dopoguerra è interrotto da un’esplosione, e una nebbia radioattiva si diffonde nel cielo. La terra sulla quale viviamo tutti ha trasalito: le armi termonucleari prendono il posto di quelle atomiche.
E presto ci congederemo dalla Madonna Sistina.
Ha vissuto la nostra vita, con noi. Giudicateci dunque, noi esseri umani, insieme alla
Madonna e suo figlio. Noi fra poco lasceremo questa vita essendo i nostri capelli già bianchi. Ma lei, questa giovane madre col suo piccolo in braccio, lei andrà incontro al suo destino e con la prossima generazione di uomini vedrà una luce potente e accecante splendere nel cielo: la prima esplosione di una bomba potentissima all’idrogeno, con cui si annuncia l’inizio di una nuova guerra globale.
Cosa diremo noi, gli uomini dell’epoca del nazismo, davanti al tribunale del passato e
del futuro? Non abbiamo alcuna giustificazione.
Diremo che non c’è mai stato un tempo duro come il nostro, ma che non abbiamo lasciato che morisse l’umano che dimora nell’uomo.
Guardando partire la Madonna Sistina, continuiamo a credere che la vita e la libertà sono una cosa sola, e che non c’è niente al di sopra di ciò che di umano c’è nell’uomo.
Questo vivrà in eterno, e vincerà.

Vasilij Grossman

[*] da V. Grossman, L’inferno di Treblinka, Adelphi, Milano, 2010

V. Grossman (1905-1964) è stato giornalista e scrittore sovietico. Fu corrispondente di guerra e documentò i crimini nazisti, anche quelli perpetrati nel campo di sterminio di Treblinka. Dopo la seconda guerra mondiale si trovò in dissidio con il regime sovietico e cadde in disgrazia.

Una traduzione de “La Madonna Sistina” si trova in V. Grossman, Il bene sia con voi!, Adelphi, Milano 2011

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