Capace di incarnare tutti gli ideali del Rinascimento all’interno di una carriera breve seppur prolifica, Raffaello è stato una delle personalità più influenti della storia dell’arte. Le novità estetiche e formali introdotte dal maestro sono infatti state, per lunghi secoli, un punto di riferimento da imitare o rispetto a cui porsi in netta antitesi, come è avvenuto in Caravaggio.

La “Madonna Sistina” di Raffaello è senza dubbio una delle opere più emblematiche del pittore italiano. Perfetta incarnazione del concetto estetico del bello e in grado di ispirare un profondo sentimento religioso, la tela è passata da una chiesa a una galleria profana, ed è stata il primo dipinto a divenire oggetto di stampe e riproduzioni, dando così il via al fenomeno del merchandising.

Genesi della “Madonna Sistina” di Raffaello

La “Madonna Sistina” di Raffaello è un’opera attorno cui ancora oggi, nonostante la sua fama, aleggia un’aura di mistero circa la datazione ufficiale. Le fonti non tramandano infatti indicazioni specifiche in merito, ma attraverso un’analisi stilistica è stato possibile far risalire l’opera almeno alla prima metà degli anni Dieci del Cinquecento, tra il pontificato di Giulio II e l’elezione di Leone X a papa.

La tela deve quindi essere stata dipinta prima di “Estasi di Santa Cecilia” e, almeno secondo Giorgio Vasari, era destinata alla chiesa del convento di San Sisto a Piacenza. Si tratterebbe inoltre di uno degli ultimi dipinti realizzati interamente dal maestro. Circa la committenza, invece, è probabile che il capolavoro sia stato richiesto dallo stesso Giulio II durante una visita dei benedettini a Roma.

Tuttora, però, rimangono grossi dubbi circa quest’opera. L’utilizzo di un supporto come una tela, per esempio, è inusuale per il maestro che, in quegli anni, preferiva le tavole in legno. Potrebbe tuttavia essere giustificato dalla funzione che il dipinto doveva avere: secondo alcuni si trattava di uno stendardo per le processione; secondo altri, invece, doveva essere un velarium posto a protezione della bara del papa, anche se mancano conferme in tal senso nelle fonti.

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La storia espositiva dell’opera di Raffaello

Al netto dei dubbi circa datazione, committenza e funzione, è certo che la “Madonna Sistina” di Raffaello sia rimasta esposta nella chiesa del convento piacentino per più di duecento anni, simulando così una finestra aperta su un mondo altro all’interno del catino absidale principale. A metà del XVIII secolo, invece, è stata venduta ad Augusto III di Polonia per far fronte alle ristrettezze economiche dei monaci. In questo modo è arrivata nella Gemäldegalerie Alte Meister di Dresda, andando a integrare la già ricca collezione del monarca.

Allo scoppio del secondo conflitto mondiale, tuttavia, l’opera è stata imballata e nascosta prima nei sotterranei del palazzo, poi nel salone delle feste del Castello di Albrechtsburg e infine in un tunnel ferroviario in campagna. Qui è stata scoperta dall’Armata Rossa che ne ha ordinato il trasporto a Mosca, dove la tela è rimasta per dieci lunghi anni. A seguito della distensione dei rapporti tra URSS e Germania Est è stata restaurata per poter essere esposta tra Mosca e Berlino, prima di tornare definitivamente a Dresda nel 1955.

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Il soggetto della “Madonna Sistina” di Raffaello

La “Madonna Sistina” di Raffaello è una tela di inestimabile valore sia per la consueta qualità pittorica del maestro, sia per la capacità del suo autore di rivisitare un’iconografia classica come quella della sacra conversazione. Il pittore ha infatti deciso di eliminare qualsiasi orpello meramente decorativo per permettere all’opera di creare un legame più diretto con i suoi osservatori originali, ovvero i fedeli che ogni giorno dovevano popolare la chiesa di Piacenza.

La scena rappresentata viene svelata da una tenda verde e aperta, dietro la quale è possibile scorgere una Vergine col Bambino attorniata dai santi papa Sisto II e Barbara. Maria viene resa a figura intera, mentre discende dal cielo con in braccio Gesù. Il suo movimento è suggerito dalle pieghe della veste, che sembra ritrarsi verso l’alto sospinta da un vento divino. Lo sguardo e la gestualità dei due astanti, invece, indicano alla Vergine la presenza dei fedeli e permettono al quadro di entrare nella realtà dello spettatore con un effetto drammatico e solenne.

In basso, due angioletti pensosi si appoggiano a un finto parapetto costituito dai limiti del supporto. Sulla mensola, peraltro, papa Sisto II appoggia il triregno, aumentando così la profondità del quadro e la sua capacità di abbattere i confini del muro per creare l’illusione di una finestra aperta su un’apparizione divina.

L’opera può infine essere divisa in tre registri sovrapposti, a ognuno dei quali Raffaello affida un profondo significato simbolico. I cherubini fortemente umanizzati sono la rappresentazione del genere umano. I due santi raffigurano invece la Chiesa, mentre la Vergine e Gesù sono il simbolo della sfera celeste. L’opera diventa così l’unione tra Dio e fedeli per il tramite della parola di Dio, qui presentata come unica soluzione per vivere una vista giusta e ispirata.